Ieri, 200 milioni di anni fa, qui c’era l’Oceano Tetide. Oggi, c’è un deserto scolpito in canyon, gole, dune e formazioni rocciose dalle forme incredibili. Come testimoniano i loro nomi: Valle delle Sfere, Montagne di Leone e di Tiramisù, Zanne Giganti. Un angolo di Asia Centrale che sembra un film di fantascienza.
Nell’estremo ovest del Kazakistan, si estende la regione del Mangystau, un luogo dove la straordinaria unicità del territorio e le tracce delle civiltà nomadi incise in esso creano uno spazio sospeso nel tempo, che ha ispirato particolari forme di spiritualità che si congiungono con la natura. La principale attrazione della regione sta nel suo paesaggio surreale e unico, quasi alieno, tanto che sembra uscito da un film di fantascienza. Un paesaggio che è risultato da una complessa storia geologica: 200 milioni di anni fa, durante il Mesozoico, le terre del Mangystau erano sommerse dalle acque dell’antico Oceano Tetide. I sedimenti marini depositatisi in questo periodo hanno formato strati di calcare, argilla e gesso, ancora ben visibili in spettacolari formazioni rocciose multicolori. Nelle ere successive, la regione si ritrovò su una linea di faglia tettonica che fece sollevare rilievi quali l’altopiano dello Ustyurt e le catene dell’Aktau e del Karatau (rispettivamente, Montagna Bianca e Nera), a completamento della complessa morfologia di questo territorio. Con il progressivo ritiro del mare, il Mangystau è divenuto un deserto dove, l’erosione eolica e il riflusso delle acque, hanno scolpito canyon, gole e formazioni rocciose dalle forme incredibili.
Luogo iconico di tali sommovimenti è il Monte Sherkala, a circa 170 chilometri dalla capitale regionale Aktau. Si tratta di un singolare monolite che si erge dal fondo desertico come una smisurata cupola o una yurta, ornata al centro da un largo strato di gesso, che la circonda come un’enorme sciarpa bianca. Osservandolo dal lato opposto, il massiccio ricorda un leone addormentato, con l’enorme testa posata sulle zampe, da cui il nome Sherkala che, in lingua turkmena significa, Montagna del Leone. Una formazione geologica non meno surreale è quella del Torysh, la Valle delle Sfere, dove si possono ammirare interi campi con migliaia di concrezioni rocciose a forma di palla dal diametro tra i 2 e i 5 metri. Ma sono ancora molti altri nella regione i paesaggi d’altri mondi scolpiti dal tempo. Tutti da scoprire…
Spostandosi a sudest, a 300 chilometri da Aktau si apre la valle di Bozzhyra con le sue spettacolari creste calcaree mesozoiche quali le Zanne Giganti, colossali stele di pietra che emergono, come un miraggio, dal deserto argilloso. E, ancora più a est, il Monte Bokty con i suoi pendii a fasce orizzontali multicolori e le montagne “tiramisù” di Kyzylkup, così chiamate per il loro disegno a strati, che vanno dal rosso al bianco. Ritornando verso il Caspio, le dune di Senek ondeggiano fino alla costa, dove il deserto incontra il mare in un abbraccio silenzioso e surreale. Aggiunge all’incredibile di una visita di questi luoghi, la possibilità di ritrovare, fra le sabbie, reperti dell’epoca in cui questo era un fondo oceanico: denti di squalo e fossili di ostriche, molluschi bivalvi e altri elementi di flora e microfauna marina.
Il mito della nascita del Dio Sole
Al di là della bellezza e dell’unicità dei suoi paesaggi, un’ulteriore attrattiva della regione è la sua straordinaria ricchezza culturale, condensatasi attraverso i secoli in cui il Mangystau ha svolto la funzione di crocevia d’interconnessione fra differenti civiltà. Da qui, passavano i rami della Via della Seta che collegavano l’Asia centrale con il Caucaso, la Crimea e l’Europa orientale attraverso il Mar Caspio e l’Ural. Ma, già millenni prima che le carovane dei mercanti solcassero le strade della regione, i popoli nomadi indoeuropei dominanti le steppe dell’Eurasia avevano stabilito corridoi transcontinentali di comunicazione, commercio e scambio culturale fra il Centro Asia, il Mar Nero e le civiltà del mondo antico europeo. Nella mitologia si possono trovare tracce di contatti fra queste steppe e il mondo greco, ben da prima dell’arrivo di Alessandro Magno nella regione (IV secolo a. C.). Secondo il mito della nascita del dio del Sole, Apollo, egli vide la luce sui monti Ripa, contrafforti meridionali degli Urali, patria preistorica dei primi nomadi indo-iraniani. L’infante divino sarebbe poi stato portato in Grecia su un carro sospinto da cigni bianchi, nel giorno dell’equinozio di primavera. Da sempre, all’inizio della primavera si verifica una migrazione di massa di cigni dagli Urali verso il Mediterraneo, un fatto che supporta l’esistenza di contatti fra i greci e i popoli indo-iranici sin dalla notte dei tempi. L’equinozio di primavera, il Nawruz, è poi una delle ricorrenze più celebrate da tutti i popoli che abitano oggi le terre fra la Turchia e la Cina.
Ancora oggi il Mangystau rimane una terra marcata dallo stile di vita nomadico, che ha caratterizzato la vita umana su queste terre fino allo scorso secolo. Oltre a essere riflessa nello stemma della regione, tale eredità si ritrova nella presenza delle yurte, le tende tradizionali dei nomadi mongoli e turchi, un tempo uniche abitazioni dei locali, che permangono a punteggiare le distese della regione e in cui si può pernottare durante il viaggio. Durante il Nawruz, in questi accampamenti, può capitare di assaggiare specialità della cucina tradizionale, come il beshparmak, il piatto nazionale di carne e pasta sfoglia, e il kumis, il latte di cavalla o cammella fermentato o, in primavera, la nauryz-kozhe la ricca zuppa simbolo di prosperità e abbondanza. Assistendo magari anche alle esibizioni dei bardi che, con le loro dombre, strumenti a corda, improvvisano competizioni poetiche dette Aitys.
Una terra di leggende e rituali magici
Le antiche civiltà nomadi hanno lasciato molteplici tracce fra gli altopiani rocciosi della regione, come i petroglifi della valle di Tamgaly e nel canyon di Tushchikys. Qui, si ritrovano migliaia di incisioni rupestri: raffigurano scene di caccia, rituali e creature mitiche. Il significato di questi messaggi dalla preistoria è dibattuto. Secondo certi studi, alcuni gruppi di petroglifi rimandano a mappe celesti e configurano rituali per le divinità cosmiche. Ben prima dell’Islam, la spiritualità dei popoli nomadi si esprimeva nel Tengrismo, l’antica religione sciamanica delle steppe euroasiatiche. Invisibile ma onnipresente, il Tengri, il Dio Cielo Eterno, manifesta il proprio potere attraverso le forme della natura. Tutta la terra (a volte entità divina a sé, detta Etugen ezhe) è sacra, come lo sono le montagne, quali il Sherkala e le altre stele del deserto, elementi di congiunzione fra il Padre Celeste e la dimora dei suoi figli.
Solo dopo il passaggio nel secondo millennio, la religiosità centrasiatica assume le forme dell’Islam. Ciò avvenne per opera dei predicatori ambulanti sufi (baba o sheikh), sapienti che seppero adattarsi alle tradizioni nomadiche preislamiche di queste genti, assumendo le funzioni ancestrali degli sciamani di guarigione e intermediazione fra Cielo e Terra. Questo sincretismo religioso si ritrova nelle moschee rupestri e negli annessi luoghi di sepoltura dei santi sufi. Come la necropoli di Shakpak-Ata, il più antico (X secolo) luogo di culto islamico del Mangystau. Fra le cupole dei suoi mausolei decorati da motivi geometrici, si avvertono echi di zoroastrismo e altri culti preislamici, tali da rendere questo sito un portale attraverso il ricco patrimonio storico della regione.
Un altro luogo misterioso del Mangystau è il mausoleo con moschea sotterranea dello sheikh Beket-Ata (1750-1813), il Maometto del Mangystau. La sua tomba è considerata il vero cuore spirituale della regione, meta di pellegrinaggi dal giorno della scomparsa. Il sepolcro si raggiunge attraversando un tunnel angusto, metafora di un percorso simbolico verso l’aldilà.
Si potrebbe affermare che un viaggio in queste terre richieda forse una preparazione particolare. Nei secoli, coloro che osavano traversare questi spazi immensi e surreali erano mossi, oltre che da commerci e spirito d’avventura, anche da un autentico desiderio di scoperta. Del mondo quanto di sé stessi, poiché la carica onirica e spirituale del Mangystau non può non spingere all’introspezione. Più che una destinazione insolita, la regione può essere occasione per un viaggio filosofico, in cui riflettere sull’esistenza umana e il suo mutamento attraverso altre ere e civiltà.
Non meno importante, considerare come in queste regioni il turismo deve contribuire alla preservazione di un ecosistema fragile e già provato dall’industria estrattiva, fornendo supporto alle sue comunità. Un grave problema è l’impatto sulla fauna, in primo luogo l’antilope saiga, una specie integrale al paesaggio del Mangystau, a rischio d’estinzione per il bracconaggio, che ne ricerca le corna, molto richieste dalla medicina tradizionale cinese.